martedì 25 agosto 2015

La storia della Camera di Commercio di Venezia

La Storia della Camera di Commercio di Venezia


Sintesi da “Cenni storici sulla Camera di Commercio di Venezia” di F. Zago – Venezia –1954 – Dalle antiche magistrature della Serenissima alla 580

Le notizie storiche sulla Camera di Commercio di Venezia sono scarse e frammentarie,nel passato orientate a farla derivare da antiche Magistrature con finalità commerciali.
Invece,le origini delle Camere sono ottocentesche: decreto napoleonico (inizio 1800) o disposizioni governi locali dei vari Stati di allora. Vero è che alcune città derivano le loro Camere da organismi comunali del XII secolo (v. Milano, Lucca e Cremona, per esempio).
Su questa scia anche la Camera di Venezia potrebbe identificarsi nella Magistratura dei Provveditori di Comun, per esempio, creata nel 1256, ed occupatesi di mercature, navigli ed arti, alleggerita, nel seguito del XIII secolo, di alcuni compiti da i Consoli dei Mercanti (paragonabile ad un Tribunale di commercio: v. protesti delle lettere di cambio, pubblicate in un bollettino).
E vi furono altre istituzioni commerciali della Serenissima, fra cui quella dei Cinque Savi alla Mercanzia, alla quale fu affidata tutta la materia di mercanzia, dazi, tasse, dogane e navigazione (grande commercio marittimo).
La scoperta dell’America, sviò buona parte dei traffici veneziani e gli sforzi di secoli non bastarono a riaccendere gli splendori dei secoli passati, sicché, al principio del 1700, il commercio era malfermo: per far fronte a ciò furono creati nuovi Uffici, tra cui la Deputazione al Commercio o Deputati alla Camera di Commercio con il compito di “facilitare l’esito delle mercanzie”, con azione subordinata a quella dei Cinque Savi e bisognosa dei consigli cosiddetti Capi di Piazza del ceto mercantile, cui il Governo aveva già affidato compiti di regolazione del commercio per piazze e porti e sorveglianza per la trasformazione di determinate merci.
Ed erano essi, infatti, i veri esperti. Prese corpo così, su progetto degli stessi Capi di Piazza, la costituzione fra i più accreditati mercanti, specializzati in rami diversi del commercio, di una “Unione” o “Corpo” (1713). Che discuteva in assemblea quindicinale lo stato del commercio e le possibili migliorie, sottoponendo i risultati all’esame delle Pubbliche Autorità. I membri di questo corpo, 26, di nomina dei Deputati al Commercio, avevano funzione rappresentativa e con ampio potere consultivo: 50 anni dopo, trascorsi nelle guerre con i Turchi, essi furono indicati, dagli stessi Savi, come il primo tentativo di costituzione di una Camera di Commercio.
E’ del 1763 un’esposizione dei Cinque al Serenissimo Principe ove si evidenzia la necessità, per riorganizzare il sfiorito commercio, di persone fornite non solo di teoria, ma anche di esperienza pratica: l’Unione mercantile “denominar si dovrà Camera di commercio”, formata da mercanti e rappresentanti di Uffici o Consorzi, essa doveva coordinare “tutte le iniziative, gli sforzi i consigli per il miglior bene del commercio”. Ed il Senato rispose.
Fu Francesco Morosini nel 1764 a presentare ai Cinque Savi una relazione sul governo camerale (numero delle persone, durata delle cariche, piazze e commerci di scelta dei membri, luogo delle adunanze, ma addirittura un elenco dei nomi delle persone elettesecondo le norme stabilite o in via di approvazione). La Camera veniva ad essere composta di 24 membri, negozianti della piazza di Venezia, scelti, a maggioranza di voti, in seno ai vari consorzi formati tra esercenti uno stesso commercio. Detti membri eleggevano a loro volta 3 negozianti col titolo di Presidenti della Camera, il cui compito era formulare iniziative per il commercio e l’industria e tenere informati i 5 Savi sull’andamento del commercio stesso. Le riunioni erano quindicinali, talora a carattere riservato.
I componenti della Camera duravano in carica tre anni, ma annualmente venivano rinnovati 8 membri, sicchè alla fine del triennio la composizione era totalmente rinnovata.
Per la stesura degli atti ufficiali e la tenuta dei conti la Camera disponeva di due persone, pagate 15 ducati al mese. La sede era in Riva del Vin , nel Fontico della Farina.
La proposta del Morosini divenne legge del Senato sei mesi dopo, più prudente fu la disposizione riguardo alla nomina di 6 membri di origine straniera, comunque eletti.
Nel 1766 i Cinque Savi modificarono leggermente la materia delle elezioni, specificando anche la fonte dei mezzi per il funzionamento della Camera e dichiarando giunto il tempo di nuove elezioni. Solo nel 1768, però, il Senato riprese l’argomento, manifestando gravi dubbi sulla composizione della Camera, con la motivazione che riconoscere il vero interesse dei mercanti poteva essere di somma difficoltà e che detto interesse poteva altresì essere contrario al bene della Nazione. Due mesi dopo, i decreti di istituzione della Camera di Commercio furono annullati.
Essa perciò, proposta ed accolta nel 1713 (data che va comunque ricordata: per la prima volta ci fu uno specifico intento di unione del ceto mercantile), ripresa nel ’63, articolata nel ’64, svanì nel 1768. Rimane comunque certa l’origine lontana della Camera di Commercio di Venezia, il cui funzionamento fu bloccato dapprima da fatti di guerra e poi dal timore che la sua istituzione fosse più dannosa che utile.
Ancora, essa andava a sovrapporre la sua attività ad uffici già esistenti: le interferenze sarebbero state naturali e sicuramente improduttive, un campo d’azione libero significava eliminare le strutture preesistenti, questo a meno di 20 dalla caduta della Serenissima, in un clima già destabilizzato, qualsiasi modifica era preferibile di modesta entità.
Nonostante le vicissitudini, però, la bontà dell’idea rimase , tant’è che col decreto napoleonico del 5 febbraio 1806 del Governo Italico furono riunite nella Camera di Commercio le attribuzioni esercitate dalle Deputazioni Mercantili, dal Consorzio dell’Olio e dal Consorzio d’Egitto. Ma la storia della Repubblica Veneta era già conclusa.
Dalla caduta della Serenissima avvenuta nel 1797 vi furono varie formazioni governative ed il susseguirsi di dominazioni straniere fino al 1866, anno in cui Venezia ed il Veneto furono annessi per plebiscito al Regno d’Italia. Alla loro produzione legislativa bisogna ricorrere per avere notizie della Camera di Commercio.
Filiazione diretta del cessato Magistrato dei Cinque Savi alla Mercanzia fu il Comitato del Banco Giro Commercio ed Arti, istituito come organo municipale dal Governo Democratico nel 1797. La situazione durò qualche mese, fino a Campoformido, con la consegna di Venezia all’Austria.
Nel 1798 il comandante generale dell’armata austriaca in Italia, Oliviero de Wallis, creò una Regia Commissione Camerale, alle cui dipendenze funzionava la Sezione Arti e Commercio. Sorse così la Deputazione Mercantile, retta dai Capi Piazza più accreditati del ceto mercantile , con le funzioni della vecchia magistratura della Repubblica Veneta.
Ciò resse per tutto il primo periodo della dominazione austriaca, fino al 1805, quando Venezia venne aggregata al Regno d’Italia.
Fu in questo periodo che la Camera di Commercio trovò la sua effettiva origine: con il decreto napoleonico del 5 febbraio 1806 si fissarono organizzazione e poteri della Camera di Commercio di Venezia; essa aveva carattere regionale: dei 15 membri, 9 dovevano avere residenza a Venezia e gli altri 6 uno per capoluogo delle 6 province venete. Nel successivo decreto del 19 marzo 1807 si regola l’iscrizione delle ditte all’anagrafe commerciale.
Nel 1811 con decreto napoleonico del 27 giugno, in armonia a quanto accadeva in altre città, si istituì a Venezia la Camera di Commercio Arti e Manifatture, i cui membri provenivano dai ceti dei fabbricanti, manifatturieri e commercianti.
Essi furono nominati in prima applicazione dal Re su designazione dei Prefetti, poi, in ragione di un quarto, dalla Camera stessa a maggioranza assoluta di voti. Il presidente poteva essere il Prefetto, il Vice-Prefetto o il Podestà secondo la valenza amministrativa della sede (capoluogo di dipartimento, di distretto o di comune). Il decreto prevedeva inoltre un Consiglio Generale di Commercio, Arti e Manifatture con sede a Milano.
Questa situazione durò fino al 1849, nonostante il dominio austriaco nel Lombardo- Veneto, dopo il Congresso di Vienna del 1815. Merita ricordare che nel breve periodo di restaurazione della Repubblica Veneta, nel 1848, Daniele Manin modificò la legge concedendo libertà di scelta anche per la nomina del Presidente.
Al ritorno della dominazione austriaca l’anno successivo, con regolamento del 21 luglio, si diede un nuovo assetto alle Camere di Commercio del Lombardo-Veneto per renderle più aderenti al tessuto economico dell’epoca.
Il 18 marzo 1850 veniva promulgata la legge per l’istituzione delle Camere di Commercio ed Industria, obbligatoria in tutto l’impero. Ne furono costituite 60, di cui 8 nel Triveneto (Venezia, Udine, Treviso, Padova, Vicenza, Belluno, Rovigo, Verona). Detta legge rese obbligatoria la tenuta di un registro i che conteneva, in pratica, tutti i dati necessari alla compilazione di statistiche del commercio e dell’industria (numero imprese esistenti, rami di attività, numero di persone impiegate) e formalizzò l’elezione del Presidente in seno alla Camera, con maggioranza assoluta di voti e mediante schede.
Nella storia post-unitaria, tra le disposizioni relative alle Camere di Commercio ne ricordiamo alcune, che le imposero una diversa denominazione: nel 1869, con la legge del 3 marzo, la Camera viene a chiamarsi Camera di Commercio ed Arti; nel 1910, con la legge del 20 marzo, diviene Camera di Commercio ed Industria della provincia di Venezia.
Un primo riordinamento che fissa, tra l’altro, in modo organico struttura e compiti del Consiglio e prevede la Giunta, si ha con la legge 750 del 1924.
Il suo regolamento attuativo, decreto 29 del 1925 dà un a precisa disciplina ad importanti servizi camerali quali registro ditte, statistica, raccolta usi, servizio brevetti e marchi.
Con la legge 731 del 1926 le Camere diventano Consigli Provinciali dell’Economia e vengono sciolti i Consigli; dal 1927 la Presidenza è assunta dal Prefetto. Questa prima disposizione fu seguita da provvedimenti che innovarono sostanzialmente la struttura dell’Ente e le materie di sua competenza: Presidenza ai prefetti, senza elezione, Vice- Presidente e Presidenti delle Sezioni a nomina ministeriale; Consiglio nominato dal Prefetto su designazione delle organizzazioni sindacali e riunentesi solo due volte l’anno (di conseguenza, di fatto, il vero amministratore dell’Ente era il Comitato di Presidenza).
Nel 1931 si apre una nuova fase: negli organi consigliari entrano i rappresentanti dei lavoratori, accentuandosi così il “carattere di rappresentanza integrale degli interessi generali di produzione” .
In quanto alle attribuzioni va rilevato il conferimento di compiti in materia di agricoltura e la sottrazione della tenuta del Registro delle ditte, affidato agli Uffici Provinciali dell’economia, istituiti nel 1927.
Con la scomparsa del regime che l’aveva determinata, questa riforma cadde; il decreto luogotenenziale 315 del 1944 ricostituì infatti le Camere di Commercio Industria ed Agricoltura.
Ciò nonostante, a Venezia il Consiglio Provinciale dell’economia corporativa funzionò fino all’aprile del 1945 e la Camera venne ricostituita, con l’insediamento della Giunta, il 29 giugno 1945.
L’ordinamento provvisorio durò quasi 50 anni! Ed arriviamo alla l. 580 del 1993.

Le sedi nel tempo

1802 - La prima sede effettiva della Camera di Commercio fu al pianoterra del Palazzo Ducale. Dove erano risiedute le antiche Magistrature veneziane, infatti, durante la dominazione straniera, trovarono luogo Uffici governativi e municipali, nonché le maggiori istituzioni culturali cittadine. Le condizioni statiche del complesso architettonico, però, non consentirono alla Camera stessa una permanenza stabile.
Essa si trovò poi ad occupare l’edificio della Zecca, soppressa dal 1870, in bacino San Marco, dove rimase fino al 1901, quando, per far posto alla biblioteca Marciana, si trasferì in Palazzo Trevisan Cappello sul Rio della Canonica (oggi sede della scuola del Merletto).
Ivi rimase, in affitto, fino al 1926, anno in cui trovò una nuova sede in un palazzo appositamente costruito su progetto degli ingegneri Coen e Puglisi-Allegra in via XXII marzo. Allora però, quello che fu chiamato Palazzo del Commercio, ancora sede della Camera, risultava costruito solo in parte, quella prospiciente via XXII marzo, dove avevano sede Borse, Anagrafe Commerciale, Segreteria ed alcuni locali di rappresentanza. Gli altri uffici e lo stesso salone consigliare erano alla meglio collocati in un complesso di vecchi edifici situati verso Piscina San Moisè, sempre di proprietà camerale.
Negli anni ’50 detto complesso fu demolito e venne realizzata una nuova costruzione su progetto dell’ing. Torta sull’area verso Piscina San Moisè; successivamente si provvide al restauro di un terzo edificio all’angolo tra Piscina San Moisè e Calle della Veste.
Quale fu il percorso?
Nel 1920 divenne pressante, per la classe economica veneziana rappresentata nella Camera di Commercio, l’esigenza di una sede adeguata per l’Ente, ove potessero trovare sistemazione anche Borsa Valori e Borsa Merci – allora non esistenti in città, pure teatro di fervidi scambi commerciali.
La realizzazione del progetto di questo unico grande edificio ha bisogno di spazi adeguati. Dopo aver vagliato l’eventuale acquisto di diversi immobili, fra cui l’allora chiamato Albergo Vittoria di proprietà della CIGA in San Marco, l’occasione più buona si presenta con un’area “in Via 22 Marzo di circa 905 mq, di cui 350 coperti di immobili utilizzabili e 130 di immobili da demolirsi” di proprietà della ditta Cantiere Industriale Legnami Spellanzon & C. già di proprietà della contessa Gritti.
Acquisto del terreno e costruzione comportano però una spesa ingente, che il Ministero dell’Industria inizialmente non approva. Nasce allora l’idea di costituire una società anonima, chiamata Società Anonima Borsa Valori, con sede in Venezia.
Con nota prot. 984 del 12.2.1921 dell’allora Presidente, prof. Meneghelli, al Ministero dell’Industria e Commercio, la Camera manifesta l’intenzione, al fine di procurarsi la somma necessaria all’acquisto (1.350.000 Lire) di vendere i magazzini di sua proprietà, localizzati nell’area del porto (e già in locazione al Provveditorato al Porto) o all’ente locatario stesso o a privati, secondo l’offerta. Non si deve vendere in fretta, per spuntare un prezzo maggiore, ma, d’altro canto , non si può perdere l’affare d’acquisto degli spazi finalmente trovati e ritenuti adatti, meglio quindi, per l’intanto, accendere un mutuo.
A questo punto, si costituisce una commissione apposita per portare avanti la sottoscrizione di azioni per la Società Anonima Borsa Valori da parte di istituti bancari e ditte industriali e commerciali della città. Della commissione fanno parte il comm. Aldo Jesurum, il cav. Romualdo Genuario, il cav. Giulio Magrini, il cav. Silvio Pellai (direttore del Credito Industriale di Venezia) ed il cav. Beniamino Coen.
Nell’aprile dello stesso anno, frattanto, il Ministero dell’Industria esprime parere negativo acciocché la Camera sottoscriva azioni della suddetta S.A. Borsa Valori per la costruzione del palazzo del Commercio, con i soldi ricavati dalla vendita dei magazzini, figurando all’operazione carattere speculativo (art. 43 L. 121/1910): la Camera cioè non può partecipare ad un ente avente carattere giuridico di società commerciale. Tale partecipazione è resa possibile solo con la sostituzione del concetto di società (art. 1697 cc e 76 codice del commercio) con quello di comunione.
Ma questo cambiamento alle banche non piace. Trova la soluzione Meneghelli: la Camera provvederà per proprio conto alla costruzione degli edifici per sé, assicurando interessi agli azionisti della Società Anonima Borsa Valori, senza farvi parte e conservando, nel contempo, comproprietà e controllo sull’ente Borsa (verbale del Consiglio 30 novembre 1921).
Il preliminare d’acquisto del nucleo originario del Palazzo del Commercio si stipula il 18.12.1921 tra la cedente Legnami Spellanzon e la Società Anonima Borsa Valori con l’intenzione di perfezionarlo nel febbraio dell’anno successivo. Ma il mancato invio di fondi dal Governo e la ritardata vendita dei magazzini al porto, a causa di un incendio, costringono l’acquirente a chiedere una proroga all’aprile del 1922. Per allora, il Consiglio stipula una convenzione tra la S.A. Borsa Valori di Venezia e la Camera relativamente ad un contributo annuo di lit. 50.000 a favore della società per le spese dei costruendi locali ed il funzionamento delle borse che vi avrebbero avuto sede.
Solleciti ripetuti al Ministero fanno finalmente giungere l’autorizzazione ufficiale all’acquisto di “area di case demolite in via XXII marzo..” con Decreto Reale del 31 dicembre 1922.
L’atto definitivo di compravendita (22 febbraio 1923 n° 39336 Rep. 17746 Reg. Atti Notaio Candiani registrato a Venezia il 16 marzo 1923 Atti Pubblici n. 2873 vol. 171) – che aveva visto un contenzioso tra gli appaltatori dei lavori, l’impresa Perale – Jogna ed i cedenti, proprietari dell’area, Spellanzon & C. relativamente alla distribuzione degli spazi (l’impresa costruttrice aveva infatti acquistato parte dell’erigendo palazzo, il 2° ed il 3° piano) – ha per oggetto non già la cessione di un fabbricato già costruito, ma la vendita dell’area ad un determinato prezzo e l’appalto per la costruzione dello stesso sull’area acquistata. L’immobile è unico; per la parte riguardante la Borsa Valori entrerà in gioco anche la S.A. B.V.
Il progetto è affidato agli ingegneri Camillo Pugliesi Allegra e Giorgio Coen; i lavori sono commissionati all’impresa Perale – Jogna: all’art. X del contratto di compravendita, infatti, le committenti si erano dichiarate a conoscenza che con contratto n. 3487 Notaio Candiani datato 16.11.1922, la ditta precedentemente proprietaria di terreni ed immobili aveva concesso agli ingegneri Perale ed Jogna il diritto di sopraelevare per loro conto e a loro spese il 3° ed il 4° dell’edificio; l’impresa altresì si obbliga verso la Camera e la Borsa a conformarsi al progetto anche per la parte di edificio di sua proprietà. Eventuali controversie (che difatti ci furono in ordine alla ripartizione delle spese) sarebbero state risolte dalla nomina di un arbitro compositore, anche su domanda di una sola delle due parti (art. XII).
I lavori iniziano in quegli anni, protraendosi fino al 1926 (interessante il carteggio con il Comune riguardante la richiesta di deroga all’innalzamento di 1 metro: non farlo rovinerebbe l’estetica complessiva dell’edificio, nessuno, d’altro canto potrebbe obiettare la troppa altezza, essendoci già in zona edifici alti più di 20 mt.) Il finanziamento, ottenuto dall’Istituto Federale di Credito per il risorgimento delle Venezie si sarebbe dovuto sanare entro il 1930.
Nel frattempo la S.A.B.V. (dopo il rifiuto della Camera sia di un ulteriore prestito, a fronte dell’esaurimento del capitale sociale e della prima somma messa a disposizione dalla Camera stessa di Lit. 850.000, sia di un aumento della quota annua di sovvenzione camerale fissata nel ’21) si pone in liquidazione e concorda con la Camera la vendita a quest’ultima della parte di palazzo di sua proprietà (acquisto autorizzato con R.D. del 1927).
Già nel 1925, la Camera, comunque, si muove per l’acquisto dell’intero edificio (quei 2° e 3° piano, di cui l’impresa costruente si era riserv ata la proprietà), da una parte per ottenere il permesso da Roma (Min. Economia Nazionale, con missiva del 6 febbraio 1925 sull’utilità e necessità dell’acquisto), dall’altra per ottenere un altro prestito da un consorzio di istituti di credito.
L’Istituto Federale di Credito dà il nulla-osta, contando già sulle adesioni di Cassa di Risparmio, Banca Popolare Coop. Anonima di Novara, Banco San Marco e Banco delle Venezie.
Il contratto d’acquisto del 2° e 3° piano si stipul a il 17 aprile 1925 (N. 6835 Rep. 265 Reg. Atti Notaio Candiani registrato a Venezia il 24 aprile 1925 Atti Pubblici N. 3431 Vol. 178) e con la Borsa Valori si ricorre dapprima ad una scrittura privata il 22 gennaio 1927 (registrata il 23 del mese successivo N. 8818 Vol. 375 Privati), il rogito notarile è di poco posteriore (27 luglio 1927, Candiani N. Rep. 9978).
Gli anni tra il 1925 ed il 1932 vedono districarsi una lunghissima vertenza tra gli ingegneri estensori del progetto, Puglisi Allegra e Coen per il pagamento delle loro parcelle: mentre la Borsa Valori sembra aver pagato, in segreto, la sua parte, con la Camera si continua con ricorsi e controricorsi per anni, appunto. Il costo totale del palazzo, alla fine, viene valutato da un perito del tribunale in Lit. 2.673.113.
Nel 1936 nasce l’idea di un’espansione.
Nel gennaio di quell’anno l’amministratore delle proprietà degli eredi Grunwald notifica alla Camera lesioni nei locali all’anagrafico 2046 della Calle del Cristo posti tra immobili di proprietà del Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa (il nome della Camera nell’era fascista); l’ingegner Torta, all’uopo interpellato, considerato lo stato dell’immobile, affittato a studio medico, e viste le intersezioni dello stesso con i locali della Camera, consiglia la stessa di comprarlo per la cifra di Lit. 50.000 (contro gli 85.000 del perito di parte opposta, ing. Doria, che non considera le condizioni statiche dell’immobile, ma solo il reddito catastale.…).
La perizia del Genio Civile fissa il valore a 58.000 Lit. In Consiglio se ne discute subito e a settembre del 1936 si dà l’assenso all’acquisto per Lit. 45.000. Dopo una contrattazione di mesi, l’accordo finale è di 55.000. Il Ministero esprime assenso (nota febbraio 1937) ed il contratto si stipula il 2 giugno del 1939 (N. 10130 Rep. Reg. Atti Notaio Candiani).
Opera dell’ing. Torta, con la collaborazione dell’arch. Scattolin e dell’ing. Zecchin, le trasformazioni interne degli anni ’50 (tra cui la sala conferenze). Di quegli anni l’acquisto dello stabile confinante alla sede camerale per ampliare le aree della Borsa Valori ed il ripristino del Caffè Borsa al pianterreno.
L’esigenza di spazi più ampi trasformano il lato Calle della Veste / Piscina San Moisé a metà degli anni ’80 secondo il progetto degli architetti Ganassi e Malocco.
Architettonicamente composito, il palazzo, o meglio l’intero isolato, è stato oggetto di varie trasformazioni nel corso degli anni, sicuramente più all’interno che all’esterno da un certo momento in poi, fino ai nostri giorni.

Dr.ssa Monica Selva

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