La Storia della Camera di Commercio di Venezia
Sintesi da
“Cenni storici sulla Camera di Commercio di Venezia” di F. Zago –
Venezia –1954 – Dalle antiche magistrature della Serenissima alla
580
Le notizie
storiche sulla Camera di Commercio di Venezia sono scarse e
frammentarie,nel passato orientate a farla derivare da antiche
Magistrature con finalità commerciali.
Invece,le
origini delle Camere sono ottocentesche: decreto napoleonico (inizio
1800) o disposizioni governi locali dei vari Stati di allora. Vero è
che alcune città derivano le loro Camere da organismi comunali del
XII secolo (v. Milano, Lucca e Cremona, per esempio).
Su
questa scia anche la Camera di Venezia potrebbe identificarsi nella
Magistratura dei Provveditori di
Comun, per esempio, creata nel 1256,
ed occupatesi di mercature, navigli ed arti, alleggerita, nel seguito
del XIII secolo, di alcuni compiti da i Consoli
dei Mercanti (paragonabile ad un
Tribunale di commercio: v. protesti delle lettere di cambio,
pubblicate in un bollettino).
E
vi furono altre istituzioni commerciali della Serenissima, fra cui
quella dei Cinque Savi alla
Mercanzia, alla quale fu affidata
tutta la materia di mercanzia, dazi, tasse, dogane e navigazione
(grande commercio marittimo).
La
scoperta dell’America, sviò buona parte dei traffici veneziani e
gli sforzi di secoli non bastarono a riaccendere gli splendori dei
secoli passati, sicché, al principio del 1700, il commercio era
malfermo: per far fronte a ciò furono creati nuovi Uffici, tra cui
la Deputazione al Commercio o
Deputati alla Camera di Commercio con
il compito di “facilitare l’esito delle mercanzie”, con azione
subordinata a quella dei Cinque Savi e bisognosa dei consigli
cosiddetti Capi di Piazza del
ceto mercantile, cui il Governo aveva già affidato compiti di
regolazione del commercio per piazze e porti e sorveglianza per la
trasformazione di determinate merci.
Ed
erano essi, infatti, i veri esperti. Prese corpo così, su progetto
degli stessi Capi di Piazza, la
costituzione fra i più accreditati mercanti, specializzati in rami
diversi del commercio, di una “Unione”
o “Corpo”
(1713). Che discuteva in assemblea quindicinale lo stato del
commercio e le possibili migliorie, sottoponendo i risultati
all’esame delle Pubbliche Autorità. I membri di questo corpo, 26,
di nomina dei Deputati al Commercio, avevano funzione rappresentativa
e con ampio potere consultivo: 50 anni dopo, trascorsi nelle guerre
con i Turchi, essi furono indicati, dagli stessi Savi, come il primo
tentativo di costituzione di una Camera di Commercio.
E’ del 1763
un’esposizione dei Cinque al Serenissimo Principe ove si evidenzia
la necessità, per riorganizzare il sfiorito commercio, di persone
fornite non solo di teoria, ma anche di esperienza pratica: l’Unione
mercantile “denominar si dovrà Camera di commercio”, formata da
mercanti e rappresentanti di Uffici o Consorzi, essa doveva
coordinare “tutte le iniziative, gli sforzi i consigli per il
miglior bene del commercio”. Ed il Senato rispose.
Fu Francesco
Morosini nel 1764 a presentare ai Cinque Savi una relazione sul
governo camerale (numero delle persone, durata delle cariche, piazze
e commerci di scelta dei membri, luogo delle adunanze, ma addirittura
un elenco dei nomi delle persone elettesecondo le norme stabilite o
in via di approvazione). La Camera veniva ad essere composta di 24
membri, negozianti della piazza di Venezia, scelti, a maggioranza di
voti, in seno ai vari consorzi formati tra esercenti uno stesso
commercio. Detti membri eleggevano a loro volta 3 negozianti col
titolo di Presidenti della Camera, il cui compito era formulare
iniziative per il commercio e l’industria e tenere informati i 5
Savi sull’andamento del commercio stesso. Le riunioni erano
quindicinali, talora a carattere riservato.
I componenti
della Camera duravano in carica tre anni, ma annualmente venivano
rinnovati 8 membri, sicchè alla fine del triennio la composizione
era totalmente rinnovata.
Per la stesura
degli atti ufficiali e la tenuta dei conti la Camera disponeva di due
persone, pagate 15 ducati al mese. La sede era in Riva del Vin , nel
Fontico della Farina.
La proposta
del Morosini divenne legge del Senato sei mesi dopo, più prudente fu
la disposizione riguardo alla nomina di 6 membri di origine
straniera, comunque eletti.
Nel 1766 i
Cinque Savi modificarono leggermente la materia delle elezioni,
specificando anche la fonte dei mezzi per il funzionamento della
Camera e dichiarando giunto il tempo di nuove elezioni. Solo nel
1768, però, il Senato riprese l’argomento, manifestando gravi
dubbi sulla composizione della Camera, con la motivazione che
riconoscere il vero interesse dei mercanti poteva essere di somma
difficoltà e che detto interesse poteva altresì essere contrario al
bene della Nazione. Due mesi dopo, i decreti di istituzione della
Camera di Commercio furono annullati.
Essa perciò,
proposta ed accolta nel 1713 (data che va comunque ricordata: per la
prima volta ci fu uno specifico intento di unione del ceto
mercantile), ripresa nel ’63, articolata nel ’64, svanì nel
1768. Rimane comunque certa l’origine lontana della Camera di
Commercio di Venezia, il cui funzionamento fu bloccato dapprima da
fatti di guerra e poi dal timore che la sua istituzione fosse più
dannosa che utile.
Ancora, essa
andava a sovrapporre la sua attività ad uffici già esistenti: le
interferenze sarebbero state naturali e sicuramente improduttive, un
campo d’azione libero significava eliminare le strutture
preesistenti, questo a meno di 20 dalla caduta della Serenissima, in
un clima già destabilizzato, qualsiasi modifica era preferibile di
modesta entità.
Nonostante le
vicissitudini, però, la bontà dell’idea rimase , tant’è che
col decreto napoleonico del 5 febbraio 1806 del Governo Italico
furono riunite nella Camera di Commercio le attribuzioni esercitate
dalle Deputazioni Mercantili, dal Consorzio dell’Olio e dal
Consorzio d’Egitto. Ma la storia della Repubblica Veneta era già
conclusa.
Dalla caduta
della Serenissima avvenuta nel 1797 vi furono varie formazioni
governative ed il susseguirsi di dominazioni straniere fino al 1866,
anno in cui Venezia ed il Veneto furono annessi per plebiscito al
Regno d’Italia. Alla loro produzione legislativa bisogna ricorrere
per avere notizie della Camera di Commercio.
Filiazione
diretta del cessato Magistrato dei Cinque Savi alla Mercanzia fu il
Comitato del Banco Giro Commercio ed Arti, istituito come organo
municipale dal Governo Democratico nel 1797. La situazione durò
qualche mese, fino a Campoformido, con la consegna di Venezia
all’Austria.
Nel 1798 il
comandante generale dell’armata austriaca in Italia, Oliviero de
Wallis, creò una Regia Commissione Camerale, alle cui dipendenze
funzionava la Sezione Arti e Commercio. Sorse così la Deputazione
Mercantile, retta dai Capi Piazza più accreditati del ceto
mercantile , con le funzioni della vecchia magistratura della
Repubblica Veneta.
Ciò resse per
tutto il primo periodo della dominazione austriaca, fino al 1805,
quando Venezia venne aggregata al Regno d’Italia.
Fu in questo
periodo che la Camera di Commercio trovò la sua effettiva origine:
con il decreto napoleonico del 5 febbraio 1806 si fissarono
organizzazione e poteri della Camera di Commercio di Venezia; essa
aveva carattere regionale: dei 15 membri, 9 dovevano avere residenza
a Venezia e gli altri 6 uno per capoluogo delle 6 province venete.
Nel successivo decreto del 19 marzo 1807 si regola l’iscrizione
delle ditte all’anagrafe commerciale.
Nel 1811 con
decreto napoleonico del 27 giugno, in armonia a quanto accadeva in
altre città, si istituì a Venezia la Camera di Commercio Arti e
Manifatture, i cui membri provenivano dai ceti dei fabbricanti,
manifatturieri e commercianti.
Essi furono
nominati in prima applicazione dal Re su designazione dei Prefetti,
poi, in ragione di un quarto, dalla Camera stessa a maggioranza
assoluta di voti. Il presidente poteva essere il Prefetto, il
Vice-Prefetto o il Podestà secondo la valenza amministrativa della
sede (capoluogo di dipartimento, di distretto o di comune). Il
decreto prevedeva inoltre un Consiglio Generale di Commercio, Arti e
Manifatture con sede a Milano.
Questa
situazione durò fino al 1849, nonostante il dominio austriaco nel
Lombardo- Veneto, dopo il Congresso di Vienna del 1815. Merita
ricordare che nel breve periodo di restaurazione della Repubblica
Veneta, nel 1848, Daniele Manin modificò la legge concedendo libertà
di scelta anche per la nomina del Presidente.
Al ritorno
della dominazione austriaca l’anno successivo, con regolamento del
21 luglio, si diede un nuovo assetto alle Camere di Commercio del
Lombardo-Veneto per renderle più aderenti al tessuto economico
dell’epoca.
Il 18 marzo
1850 veniva promulgata la legge per l’istituzione delle Camere di
Commercio ed Industria, obbligatoria in tutto l’impero. Ne furono
costituite 60, di cui 8 nel Triveneto (Venezia, Udine, Treviso,
Padova, Vicenza, Belluno, Rovigo, Verona). Detta legge rese
obbligatoria la tenuta di un registro i che conteneva, in pratica,
tutti i dati necessari alla compilazione di statistiche del commercio
e dell’industria (numero imprese esistenti, rami di attività,
numero di persone impiegate) e formalizzò l’elezione del
Presidente in seno alla Camera, con maggioranza assoluta di voti e
mediante schede.
Nella storia
post-unitaria, tra le disposizioni relative alle Camere di Commercio
ne ricordiamo alcune, che le imposero una diversa denominazione: nel
1869, con la legge del 3 marzo, la Camera viene a chiamarsi Camera di
Commercio ed Arti; nel 1910, con la legge del 20 marzo, diviene
Camera di Commercio ed Industria della provincia di Venezia.
Un primo
riordinamento che fissa, tra l’altro, in modo organico struttura e
compiti del Consiglio e prevede la Giunta, si ha con la legge 750 del
1924.
Il suo
regolamento attuativo, decreto 29 del 1925 dà un a precisa
disciplina ad importanti servizi camerali quali registro ditte,
statistica, raccolta usi, servizio brevetti e marchi.
Con la legge 731 del 1926 le Camere diventano
Consigli Provinciali dell’Economia e vengono sciolti i Consigli;
dal 1927 la Presidenza è assunta dal Prefetto. Questa prima
disposizione fu seguita da provvedimenti che innovarono
sostanzialmente la struttura dell’Ente e le materie di sua
competenza: Presidenza ai prefetti, senza elezione, Vice- Presidente
e Presidenti delle Sezioni a nomina ministeriale; Consiglio nominato
dal Prefetto su designazione delle organizzazioni sindacali e
riunentesi solo due volte l’anno (di conseguenza, di fatto, il vero
amministratore dell’Ente era il Comitato di Presidenza).
Nel 1931 si
apre una nuova fase: negli organi consigliari entrano i
rappresentanti dei lavoratori, accentuandosi così il “carattere di
rappresentanza integrale degli interessi generali di produzione” .
In quanto alle
attribuzioni va rilevato il conferimento di compiti in materia di
agricoltura e la sottrazione della tenuta del Registro delle ditte,
affidato agli Uffici Provinciali dell’economia, istituiti nel 1927.
Con la
scomparsa del regime che l’aveva determinata, questa riforma cadde;
il decreto luogotenenziale 315 del 1944 ricostituì infatti le Camere
di Commercio Industria ed Agricoltura.
Ciò
nonostante, a Venezia il Consiglio Provinciale dell’economia
corporativa funzionò fino all’aprile del 1945 e la Camera venne
ricostituita, con l’insediamento della Giunta, il 29 giugno 1945.
L’ordinamento
provvisorio durò quasi 50 anni! Ed arriviamo alla l. 580 del 1993.
Le sedi nel tempo
1802 - La
prima sede effettiva della Camera di Commercio fu al pianoterra del
Palazzo Ducale. Dove erano risiedute le antiche Magistrature
veneziane, infatti, durante la dominazione straniera, trovarono luogo
Uffici governativi e municipali, nonché le maggiori istituzioni
culturali cittadine. Le condizioni statiche del complesso
architettonico, però, non consentirono alla Camera stessa una
permanenza stabile.
Essa si trovò
poi ad occupare l’edificio della Zecca, soppressa dal 1870, in
bacino San Marco, dove rimase fino al 1901, quando, per far posto
alla biblioteca Marciana, si trasferì in Palazzo Trevisan Cappello
sul Rio della Canonica (oggi sede della scuola del Merletto).
Ivi rimase, in
affitto, fino al 1926, anno in cui trovò una nuova sede in un
palazzo appositamente costruito su progetto degli ingegneri Coen e
Puglisi-Allegra in via XXII marzo. Allora però, quello che fu
chiamato Palazzo del Commercio, ancora sede della Camera, risultava
costruito solo in parte, quella prospiciente via XXII marzo, dove
avevano sede Borse, Anagrafe Commerciale, Segreteria ed alcuni locali
di rappresentanza. Gli altri uffici e lo stesso salone consigliare
erano alla meglio collocati in un complesso di vecchi edifici situati
verso Piscina San Moisè, sempre di proprietà camerale.
Negli anni ’50
detto complesso fu demolito e venne realizzata una nuova costruzione
su progetto dell’ing. Torta sull’area verso Piscina San Moisè;
successivamente si provvide al restauro di un terzo edificio
all’angolo tra Piscina San Moisè e Calle della Veste.
Quale fu il
percorso?
Nel 1920
divenne pressante, per la classe economica veneziana rappresentata
nella Camera di Commercio, l’esigenza di una sede adeguata per
l’Ente, ove potessero trovare sistemazione anche Borsa Valori e
Borsa Merci – allora non esistenti in città, pure teatro di
fervidi scambi commerciali.
La
realizzazione del progetto di questo unico grande edificio ha bisogno
di spazi adeguati. Dopo aver vagliato l’eventuale acquisto di
diversi immobili, fra cui l’allora chiamato Albergo Vittoria di
proprietà della CIGA in San Marco, l’occasione più buona si
presenta con un’area “in Via 22 Marzo di circa 905 mq, di cui 350
coperti di immobili utilizzabili e 130 di immobili da demolirsi” di
proprietà della ditta Cantiere Industriale Legnami Spellanzon &
C. già di proprietà della contessa Gritti.
Acquisto del
terreno e costruzione comportano però una spesa ingente, che il
Ministero dell’Industria inizialmente non approva. Nasce allora
l’idea di costituire una società anonima, chiamata Società
Anonima Borsa Valori, con sede in Venezia.
Con nota prot.
984 del 12.2.1921 dell’allora Presidente, prof. Meneghelli, al
Ministero dell’Industria e Commercio, la Camera manifesta
l’intenzione, al fine di procurarsi la somma necessaria
all’acquisto (1.350.000 Lire) di vendere i magazzini di sua
proprietà, localizzati nell’area del porto (e già in locazione al
Provveditorato al Porto) o all’ente locatario stesso o a privati,
secondo l’offerta. Non si deve vendere in fretta, per spuntare un
prezzo maggiore, ma, d’altro canto , non si può perdere l’affare
d’acquisto degli spazi finalmente trovati e ritenuti adatti, meglio
quindi, per l’intanto, accendere un mutuo.
A questo
punto, si costituisce una commissione apposita per portare avanti la
sottoscrizione di azioni per la Società Anonima Borsa Valori da
parte di istituti bancari e ditte industriali e commerciali della
città. Della commissione fanno parte il comm. Aldo Jesurum, il cav.
Romualdo Genuario, il cav. Giulio Magrini, il cav. Silvio Pellai
(direttore del Credito Industriale di Venezia) ed il cav. Beniamino
Coen.
Nell’aprile
dello stesso anno, frattanto, il Ministero dell’Industria esprime
parere negativo acciocché la Camera sottoscriva azioni della
suddetta S.A. Borsa Valori per la costruzione del palazzo del
Commercio, con i soldi ricavati dalla vendita dei magazzini,
figurando all’operazione carattere speculativo (art. 43 L.
121/1910): la Camera cioè non può partecipare ad un ente avente
carattere giuridico di società commerciale. Tale partecipazione è
resa possibile solo con la sostituzione del concetto di società
(art. 1697 cc e 76 codice del commercio) con quello di comunione.
Ma questo
cambiamento alle banche non piace. Trova la soluzione Meneghelli: la
Camera provvederà per proprio conto alla costruzione degli edifici
per sé, assicurando interessi agli azionisti della Società Anonima
Borsa Valori, senza farvi parte e conservando, nel contempo,
comproprietà e controllo sull’ente Borsa (verbale del Consiglio 30
novembre 1921).
Il preliminare
d’acquisto del nucleo originario del Palazzo del Commercio si
stipula il 18.12.1921 tra la cedente Legnami Spellanzon e la Società
Anonima Borsa Valori con l’intenzione di perfezionarlo nel febbraio
dell’anno successivo. Ma il mancato invio di fondi dal Governo e la
ritardata vendita dei magazzini al porto, a causa di un incendio,
costringono l’acquirente a chiedere una proroga all’aprile del
1922. Per allora, il Consiglio stipula una convenzione tra la S.A.
Borsa Valori di Venezia e la Camera relativamente ad un contributo
annuo di lit. 50.000 a favore della società per le spese dei
costruendi locali ed il funzionamento delle borse che vi avrebbero
avuto sede.
Solleciti
ripetuti al Ministero fanno finalmente giungere l’autorizzazione
ufficiale all’acquisto di “area di case demolite in via XXII
marzo..” con Decreto Reale del 31 dicembre 1922.
L’atto
definitivo di compravendita (22 febbraio 1923 n° 39336 Rep. 17746
Reg. Atti Notaio Candiani registrato a Venezia il 16 marzo 1923 Atti
Pubblici n. 2873 vol. 171) – che aveva visto un contenzioso tra gli
appaltatori dei lavori, l’impresa Perale – Jogna ed i cedenti,
proprietari dell’area, Spellanzon & C. relativamente alla
distribuzione degli spazi (l’impresa costruttrice aveva infatti
acquistato parte dell’erigendo palazzo, il 2° ed il 3° piano) –
ha per oggetto non già la cessione di un fabbricato già costruito,
ma la vendita dell’area ad un determinato prezzo e l’appalto per
la costruzione dello stesso sull’area acquistata. L’immobile è
unico; per la parte riguardante la Borsa Valori entrerà in gioco
anche la S.A. B.V.
Il progetto è
affidato agli ingegneri Camillo Pugliesi Allegra e Giorgio Coen; i
lavori sono commissionati all’impresa Perale – Jogna: all’art.
X del contratto di compravendita, infatti, le committenti si erano
dichiarate a conoscenza che con contratto n. 3487 Notaio Candiani
datato 16.11.1922, la ditta precedentemente proprietaria di terreni
ed immobili aveva concesso agli ingegneri Perale ed Jogna il diritto
di sopraelevare per loro conto e a loro spese il 3° ed il 4°
dell’edificio; l’impresa altresì si obbliga verso la Camera e la
Borsa a conformarsi al progetto anche per la parte di edificio di sua
proprietà. Eventuali controversie (che difatti ci furono in ordine
alla ripartizione delle spese) sarebbero state risolte dalla nomina
di un arbitro compositore, anche su domanda di una sola delle due
parti (art. XII).
I lavori
iniziano in quegli anni, protraendosi fino al 1926 (interessante il
carteggio con il Comune riguardante la richiesta di deroga
all’innalzamento di 1 metro: non farlo rovinerebbe l’estetica
complessiva dell’edificio, nessuno, d’altro canto potrebbe
obiettare la troppa altezza, essendoci già in zona edifici alti più
di 20 mt.) Il finanziamento, ottenuto dall’Istituto Federale di
Credito per il risorgimento delle Venezie si sarebbe dovuto sanare
entro il 1930.
Nel frattempo
la S.A.B.V. (dopo il rifiuto della Camera sia di un ulteriore
prestito, a fronte dell’esaurimento del capitale sociale e della
prima somma messa a disposizione dalla Camera stessa di Lit. 850.000,
sia di un aumento della quota annua di sovvenzione camerale fissata
nel ’21) si pone in liquidazione e concorda con la Camera la
vendita a quest’ultima della parte di palazzo di sua proprietà
(acquisto autorizzato con R.D. del 1927).
Già nel 1925,
la Camera, comunque, si muove per l’acquisto dell’intero edificio
(quei 2° e 3° piano, di cui l’impresa costruente si era riserv
ata la proprietà), da una parte per ottenere il permesso da Roma
(Min. Economia Nazionale, con missiva del 6 febbraio 1925
sull’utilità e necessità dell’acquisto), dall’altra per
ottenere un altro prestito da un consorzio di istituti di credito.
L’Istituto
Federale di Credito dà il nulla-osta, contando già sulle adesioni
di Cassa di Risparmio, Banca Popolare Coop. Anonima di Novara, Banco
San Marco e Banco delle Venezie.
Il contratto
d’acquisto del 2° e 3° piano si stipul a il 17 aprile 1925 (N.
6835 Rep. 265 Reg. Atti Notaio Candiani registrato a Venezia il 24
aprile 1925 Atti Pubblici N. 3431 Vol. 178) e con la Borsa Valori si
ricorre dapprima ad una scrittura privata il 22 gennaio 1927
(registrata il 23 del mese successivo N. 8818 Vol. 375 Privati), il
rogito notarile è di poco posteriore (27 luglio 1927, Candiani N.
Rep. 9978).
Gli anni tra
il 1925 ed il 1932 vedono districarsi una lunghissima vertenza tra
gli ingegneri estensori del progetto, Puglisi Allegra e Coen per il
pagamento delle loro parcelle: mentre la Borsa Valori sembra aver
pagato, in segreto, la sua parte, con la Camera si continua con
ricorsi e controricorsi per anni, appunto. Il costo totale del
palazzo, alla fine, viene valutato da un perito del tribunale in Lit.
2.673.113.
Nel 1936 nasce
l’idea di un’espansione.
Nel gennaio di
quell’anno l’amministratore delle proprietà degli eredi Grunwald
notifica alla Camera lesioni nei locali all’anagrafico 2046 della
Calle del Cristo posti tra immobili di proprietà del Consiglio
Provinciale dell’Economia Corporativa (il nome della Camera
nell’era fascista); l’ingegner Torta, all’uopo interpellato,
considerato lo stato dell’immobile, affittato a studio medico, e
viste le intersezioni dello stesso con i locali della Camera,
consiglia la stessa di comprarlo per la cifra di Lit. 50.000 (contro
gli 85.000 del perito di parte opposta, ing. Doria, che non considera
le condizioni statiche dell’immobile, ma solo il reddito
catastale.…).
La perizia del
Genio Civile fissa il valore a 58.000 Lit. In Consiglio se ne discute
subito e a settembre del 1936 si dà l’assenso all’acquisto per
Lit. 45.000. Dopo una contrattazione di mesi, l’accordo finale è
di 55.000. Il Ministero esprime assenso (nota febbraio 1937) ed il
contratto si stipula il 2 giugno del 1939 (N. 10130 Rep. Reg. Atti
Notaio Candiani).
Opera
dell’ing. Torta, con la collaborazione dell’arch. Scattolin e
dell’ing. Zecchin, le trasformazioni interne degli anni ’50 (tra
cui la sala conferenze). Di quegli anni l’acquisto dello stabile
confinante alla sede camerale per ampliare le aree della Borsa Valori
ed il ripristino del Caffè Borsa al pianterreno.
L’esigenza
di spazi più ampi trasformano il lato Calle della Veste / Piscina
San Moisé a metà degli anni ’80 secondo il progetto degli
architetti Ganassi e Malocco.
Architettonicamente
composito, il palazzo, o meglio l’intero isolato, è stato oggetto
di varie trasformazioni nel corso degli anni, sicuramente più
all’interno che all’esterno da un certo momento in poi, fino ai
nostri giorni.
Dr.ssa
Monica Selva
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