isoladicostanziaca: No al parco della Laguna Nord

giovedì 11 agosto 2011

No al parco della Laguna Nord

GIU’ LE MANI DALLA LAGUNA

No alla creazione di nuovi carrozzoni politici creati per produrre ulteriori centri di potere che andrebbero a gravare sulle popolazioni e sull’organizzazione delle nostre attività, aumentando le tasse e escludendo dalla laguna tutti i veneziani che per secoli l’hanno vissuta praticando le più svariate attività.

Si alla salvaguardia e alla tutela dell'ambiente e dei relativi processi ambientali a garanzia dell'equilibrio della laguna veneta in tutti i suoi aspetti, ecologici, urbanistici, sociali e in tutte le sue potenzialità, culturali, ricreative, sportive.

LA LAGUNA AI VENEZIANI !

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I SAVI SOPRA LE ACQUE

Lo spoglio dei registri del Senato Terra relativi alla prima metà del Cinquecento[1], offre uno spunto di riflessione su quei contributi documentari che poco si prestano alla restituzione mediante il sistema informatico GIS, eppure sono indispensabili nel campo della storia urbana. Nel caso specifico, il problema storiografico della manutenzione della città lagunare alle soglie del XVI secolo è sottoposto ad una lente di lettura complementare e al tempo stesso non omologabile, per la natura della fonte e dei dati acquisiti, al punto di osservazione fornito dai fondi archivistici delle singole magistrature coinvolte (Giudici del Piovego, Provveditori di Comun, Savi ed Esecutori alle acque). Le delibere senatorie consentono in misura ridotta la puntuale registrazione topografica, mentre sollevano la complessità della gestione politica ed economica delle operazioni, permettendo inoltre di individuare alcune tematiche prioritarie nella tipologia e nel controllo degli interventi. Il governo dello spazio urbano comporta negoziazioni sul piano politico e sociale, in cui l’interesse dello Stato si confronta con i diritti del singolo privato. L’operato di uno degli organi supremi della Repubblica veneta, il Senato appunto, ne dà un’importante testimonianza.
Il Senato o Consiglio dei Pregadi ebbe un ruolo rilevante, tra l’inizio degli anni 1520 e la metà degli anni 1530, nel definire ed indirizzare le competenze di quelle magistrature che fin dal secolo precedente erano apparse in prima linea nella gestione dell’escavo delle velme lagunari e dei canali della città, nella manutenzione del costruito e degli stessi elementi di bordo dei canali (fondamenta, approdi, ponti), nonché dei pozzi, mezzo essenziale dell’approvvigioname nto idrico di Venezia. Proprio dalle delibere senatorie emerge una precisa volontà politica di razionalizzare soprattutto il governo delle acque, diviso sul fronte interno alla città. In particolare la competenza acquisita dai Provveditori di Comun in materia di pozzi, ponti, fondamenta ed escavo dei rii, ancora confermata il 26 febbraio 1504, fu loro revocata con una motivazione evidente. La necessità di coordinare l’escavo dei bacini più importanti (primo fra tutti il Canal Grande) e della rete minore dei rii interni, spingeva il Senato ad affidare ai Savi sopra le acque, il 3 novembre 1520, la manutenzione dell’intero sistema di canali e rii. Essi acquisirono dunque una posizione centrale nella gestione complessiva dei lavori riguardanti gli spazi acquei all’interno della città. Si susseguono, per quel periodo, le delibere concernenti la posizione istituzionale dei Savi, di cui furono puntualmente registrate alcune elezioni. L’anno 1531 segnava tuttavia il ritorno alla situazione originaria, con un atto politico che lascia trasparire la dialettica tra i diversi organi istituzionali: fu infatti il Consiglio dei Dieci, e non il Senato, a rendere ai Provveditori di Comun la responsabilità dell’escavo sistematico dei rii.

Ma qual è il ventaglio di interventi restituito dai registri del Senato? Le delibere mostrano, innanzitutto, come la manutenzione alla scala urbana andasse inserendosi oramai in una politica di manutenzione della laguna e come quest’ultima fosse partecipe, a sua volta, di una politica territoriale in cui era coinvolta l’immediata terraferma e non solo. Non è questa la sede per esaminare nel dettaglio le delibere riguardanti la manutenzione edilizia, anche se emergono episodi significativi, soprattutto nell’arco cronologico 1532-35. Si pensi all’allargamento della calle che conduce dal Fondaco dei Tedeschi alla chiesa di San Giovanni Crisostomo o di quella del Traghetto a San Felice. Per questi interventi i registri forniscono dati precisi sull’ingombro dei corpi di fabbrica da demolire e da ricostruire. La possibilità di una localizzazione topografica si lega in particolare agli interventi di restauro e/o costruzione di edilizia conventuale, ai quali il Senato riservava una particolare attenzione. La posizione marginale della maggior parte di quest’edilizia è peraltro un parametro di grande interesse per seguire le dinamiche della regolazione del limite tra città e laguna. Caso ben noto è quello di Santa Maria Mazor, legato alla creazione dei “terreni nuovi” lungo il margine urbano sud-occidentale, avviata fin dal 1494 dal Senato stesso. Ma va inserito in un contesto più generale. Una serie di suppliche indirizzate al Senato ci informa di interventi di ricostruzione di mur i di cinta o di fondamenta, di restauro e riparazione delle fabbriche di conventi e/o chiese, con la concessione, da parte dell’Arsenale, di galere sottili in disarmo da cui recuperare il legname per i cantieri. Primo caso rilevato, quello delle monache del convento di Santa Croce alla Giudecca, con supplica accolta dal Senato il 21 giugno 1507. Ma a partire dagli anni 1530 la pratica diventò diffusa, in particolar modo intorno al 1533 ed ancora tra la seconda metà degli anni 1530 e l’inizio degli anni 1540, da Venezia (chiesa di San Francesco della Vigna, convento di San Cristoforo e di San Domenico dell’Osservanzia) sino a Murano (conventi di San Maffio, San Pietro Martire e Santa Chiara).

Importanti elementi per l’analisi storica della manutenzione urbana sfuggono tuttavia alla lettura topografica. Si pensi alla circolazione d ella cultura tecnica percepibile attraverso le concessioni di brevetti di macchine per i cantieri edilizi e l’escavo dei canali, deliberate a varie riprese dal Senato. Si tratta di un aspetto cruciale del problema storiografico del “fare la città”, eppure senza evidenti relazioni con specifici interventi. Solo in via eccezionale, nel 1507, il rilascio del brevetto per la costruzione di due macchine, una per l’escavo dei rii oltre i 5 piedi di profondità, l’altra per scaricare dalle “burchielle” i fanghi estratti, era subordinato alla proposta dei due supplicanti di assumere la gestione dei lavori d’escavo di un bacino, quello di San Marco, tra San Biagio e la Dogana da Mar.
Non basta. La serie più cospicua di delibere riguarda i meccanismi di finanziamento degli interventi di manutenzione, la cui restituzione non solo si sottrae alla mappatura topografica, ma anche alla schedatura dei dati acquisiti in termini puramente quantitativi. Certo, le delibere permettono di ricostruire la gestione economica di singole operazioni di manutenzione. Ma la localizzazione dell’intervento rinvia in prima istanza all’aspetto finanziario. A proposito dei lavori di escavo del Canal Grande, la “parte” presa in Senato il 12 aprile 1520 non dà soltanto notizia dei luoghi – i terreni di Sant’Andrea della Certosa e la “vigna de monsignor el Patriarca” – in cui era stato deliberato lo scarico dei fanghi cavati dal Canale. Essa rende noto anche l’obbligo, da parte dei frati e del Patriarca, di assumersi l’onere delle spese per depositare e spianare i fanghi, in accordo con i Savi sopra le acque. Di più, la “parte” generalizza, creando un precedente per altre delibere in materia. Un caso di ulteriore interesse, anche per il rilievo che as sume il cantiere, è quello della fondamenta dello Spirito Santo, alle Zattere. Tre diverse delibere, tra il 1522 e il 1523, offrono uno spaccato interessante sul sistema di finanziamento nonché su esoneri e indennizzi legati all’opera in costruzione. Il sollecito del Senato, il 21 ottobre 1522, affinché tutti i contribuenti provvedessero a versare la somma di denaro dovuta, chiarisce le modalità d’imposizione: i titolari di proprietà confinanti con la fondamenta, quella già realizzata come quella ancora in progetto, dovevano contribuire al quarto della spesa, fatta eccezione per “frati, monasterij et hospitali”. Due mesi dopo, il 27 dicembre 1522, il Senato si esprimeva in materia di esonero dal pagamento delle contribuzioni, concesso ai proprietari i cui “stabeli” fossero stati danneggiati dai lavori in corso. Laddove non era prevista contribuzione alle spese, il danno subito era risarcito dagli stessi Savi sopra le acque. E’ il caso delle monache del convento dello Spirito Santo, la cui chiesa aveva subito una parziale demolizione. Ad esse il Senato accordava, il 6 maggio 1523, un’indennità di 250 ducati, “da esserli pagati ogni mese ducati vinti”.

Ma al di là dei singoli casi di finanziamento rintracciabili sino alla seconda metà degli anni 1540, le delibere restituiscono informazioni sulle procedure di raccolta delle risorse necessarie agli interventi a prescindere dalla localizzazione. E’ esemplare la pratica, avallata dal Senato già nel 1490, di procedere ad una tassazione delle cariche pubbliche a sostegno delle spese di manutenzione degli spazi acquei in città. Essa ha lasciato numerose tracce documentarie, soprattutto a partire dall’inizio degli anni 1520, quando furono avviati i lavori di marginamento dell’area urbana meridionale. Fin dal 3 ottobre 1520, il Senato diede facoltà ai Savi sopra le acque di mettere all’incanto alcune cariche remunerative, dalla cui concessione essi avrebbero dovuto trarre proventi per la manutenzione di rii, canali e fondamenta. Ad essa si rifà esplicitamente la delibera del 31 agosto 1521, con cui il Senato sanciva la concessione da parte dei Savi dell’“officio de uno fante a la ternaria vechia”. Non è che uno degli episodi di cui i registri del Senato rendono conto, in particolare durante la prima metà degli anni 1520. Si tratta della messa all’incanto e/o tassazione di cariche oppure di “expectative” (diritti su cariche non ancora vacanti), rispetto al diffondersi delle quali, il Senato cercava pure di individuare criteri generali per stabilire l’ammontare delle quote inca ssate. E i Savi sopra le acque furono i beneficiari di queste entrate per tutto il corso degli anni 1520, in virtù della competenza allargata alla manutenzione dei rii interni in quel periodo. In questo contesto, emerge anche il caso singolare della concessione di licenze per il trasporto acqueo delle persone in città e nella laguna. Tali licenze costituivano una sorta di indennizzo per espropri edilizi, ma fornivano anche un appoggio finanziario ai lavori programmati o in corso. Già la delibera con cui, il 12 novembre 1529, il Senato aveva incaricato i Provveditori di Comun di sovrintendere alla lastricatura del campo Santo Stefano e alla realizzazione di vari pozzi, contemplava il finanziamento dei lavori con risorse provenienti dalla vendita all’incanto di impieghi di “barcaruol”.
Un aspetto connesso, che le delibere restituiscono , è l’azione di controllo capillare non soltanto sui contribuenti, ma anche sulla stessa gestione finanziaria delle magistrature, in particolare quando i Savi sopra le acque ebbero il controllo complessivo degli interventi. In modo specifico, l’8 agosto 1525 il Senato deliberava provvedimenti disciplinari contro i debitori dell’“officio” dei Savi – “scrivani, nodarj, massarj, advocati” –, a proposito della contribuzione (“limitation”) destinata a finanziare le opere di escavo dei rii e costruzione delle fondamenta. Ma il 5 gennaio 1531 il Senato rivolgeva la sua attenzione anche al “reveder li conti delli Proveditori nostri che sono stati sopra le acque”. Del resto fin dal 1522 i Pregadi avevano introdotto la “rotazione” dei tre Savi, ogni quattro mesi, alla gestione delle loro “casse” rispettive, con rendicon to obbligatorio delle entrate e delle spese.

Oltre ai provvedimenti ad hoc, alcune delibere illustrano gli strumenti legislativi elaborati a posteriori per regolamentare gli oneri del singolo privato per le spese di manutenzione pubblica degli spazi acquei, nonché il controllo delle esazioni effettuate. Tre momenti nodali spiccano: il 7 luglio 1535 il Senato deliberava, per l’escavo dei rii, l’obbligo di un contributo di due grossi per ogni ducato d’affitto, da parte di tutti gli abitanti della città le cui case si affacciavano o usufruivano della vicinanza del rio o dei rii oggetto di manutenzione. Dall’imposta, da ripartire in misura eguale tra i proprietari delle abitazioni e gli affittuari, erano esentati non solo gli strati più poveri della popolazione, ma anche quegli affittuari che, traslocando in altra dimora, avessero già pagato il loro contributo durante gli ultimi quattro anni in relazione all’alloggio precedentemente occupato. Il 21 febbraio 1539, una nuova delibera del Senato ribadiva l’impegno specifico dei Provveditori di Comun nel sorvegliare la riscossione delle imposte da destinare al finanziamento dell’escavo dei rii attraverso la nomina di un esattore a ciò preposto. Essa si rifaceva alla “parte” presa tre anni prima, il 28 luglio 1536, con la quale lo stesso argomento era stato affrontato a proposito dell’attività di manutenzione gestita dai Savi sopra le acque.
In conclusione, colpisce come la questione del finanziamento dei lavori di escavo e manutenzione delle vie d’acqua interne alla città, soprattutto negli anni di gestione esclusiva da parte dei Savi sopra le acque, attraversasse a vari livelli il dibattito legislativo. Tutt’altro che isolata, essa intercettava altre politiche messe a punto dallo Stato in quegli anni. Ne è testimone il contenuto di delibere non pertinenti ad interventi di manutenzione. Ad esempio, le esazioni imposte alla “università degli hebrei” residente in Venezia entravano in relazione con le esigenze finanziarie della magistratura dei tre Savi. E’ quanto emerge dalla delibera del 22 febbraio 1521, allorché il Senato dispose di aggiornare la contribuzione annuale di 6500 ducati versata alle casse dello Stato dalla comunità del Ghetto. Ma sussidi per le attività dei Savi sopra le acque erano ricavati anche nel quadro delle politiche assistenziali sostenute dal Senato in quel torno di tempo. Forme di finanziamento della magistratura potevano offrirsi anche nell’ambito del sistema giudiziario, mediante concessioni di grazia subordinate ad un’“offerta” da rimettere alle casse dei Savi. Persino le politiche di controllo e di sanzione adottate da magistrature del tutto lontane dalle pratiche della manutenzione urbana potevano incrociare la prassi dei finanziamenti. Il 20 novembre 1535 il Senato deliberava che un terzo dell’ammontare di eventuali sanzioni pecuniarie riscosse dai Provveditori sopra le pompe, andasse all’“officio sopra le aque per la cavation delle lagune”.
Anche alla luce di tali allusioni tangenziali, l’insieme delle delibere appare restituire soprattutto l’ampiezza e la frammentazione dell’approccio amministrativo e legislativo alla manutenzione di Venezia e della sua laguna. Strategie concomitanti si confrontano rispetto ad una prassi che avanza per saggi. In questo contesto, si colloca la preponderante lettura di dati archivistici non direttamente riducibili allo spazio fisico della città.

Antonio Brucculeri

[1] La ricerca è stata condotta presso l’Archivio di Stato di Venezia. Per tutti i riferimenti archivistici e bibliografici si rinvia alla versione del testo destinata alla pubbl icazione negli Atti.

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