(Per gentile concessione di Elena Zanon)
4 novembre 1966: io c’ero!
di Gigio Zanon
Sì. Io c’ero! E ho passato tutta la giornata con l’acqua fino
alla cintura dentro la trattoria che gestivo: l’ Aquila Nera, in quel di S. Bortolomio.
Erano già diversi giorni che
pioveva e che stagnava uno scirocco da tagliare col coltello tanto era denso e
umido.
Mia moglie era ricoverata in
Ospedale in attesa del mio primo figlio ed era stata ricoverata giorni prima in
quanto era previsto un parto non proprio ottimale, ed io ogni mattina verso le
sei andavo a trovarla per vedere come procedeva, poi andavo prima a far la
spesa a Rialto, quindi andavo ad aprire la trattoria.
Per quel 4 novembre, allora era
giornata festiva e si faceva il ponte dei Santi dei Morti e dell’anniversario
della Vittoria del 1918, la spesa era già stata fatta essendo – appunto –
giornata festiva e gli acquisti lo avevo già fatti il giorno prima: compreso il
pane, che poi sarebbe tornato più che utile per altri motivi che dirò.
Aveva piovuto tutta la notte e
quella mattina mi accingevo ad andare verso l’Ospedale dalla mia abitazione di
S.Lio, quando arrivato giù del ponte delle “Paste” davanti al “Forner” l’acqua
era già alta. Sopra la testa gravava una cappa di umidità e vidi che l’acqua
non calava, bensì cresceva e velocemente.
Aveva iniziato anche a piovere,
di quella pioggia sottile e costante: proprio come quella da scirocco.
Mi ricordai di quello che mi
aveva detto tempo prima il buon Gigio Tolotti quando ci si andava a riparare
dal maltempo nella sua casa del Torson de sotto in Laguna Sud riguardo il
costruendo canale dei petroli. Gigio Tolotti era un vecchio pescatore che
faceva i guardiano alla valle da pesca di casa Jesurum ed abitava in una casa
in muratura, ora del tutto scomparsa e della quale non rimane altro che un
pezzo di muro sbrecciato. Quando andavamo a pescare con altri amici col nostro
“sandolo” facevamo tappa da lui e alle volte, quando c’era maltempo e non si
poteva tornare a Venezia, ci si fermava davanti al caminetto e lui ci
raccontava delle sue avventure di caccia e di pesca. E noi, oltre che andarci
durante l’estate, ci andavamo soprattutto durante il periodo della “Fraima”,
ossia quel periodo che va dalla fine di settembre alla metà di dicembre;
periodo durante il quale il pesce scende dalle barene per andare verso il mare
perché sente l’avvicinarsi dell’inverno. Fuori c’erano le draghe che stavano
scavando il nuovo canale dei petroli che sarebbe servito per portare
direttamente le super petroliere fino al barenon de S. Lunardo, vicino alle
nuova casse di colmata che già avevano tombato tutta la Laguna da Fusina al
canal Melison, canale che poi porta a Valle Averto e a Lova in terraferma.
Lui ci diceva che tutto quello
che stavano facendo in Laguna la avrebbe distrutta e poi avrebbe distrutto
Venezia, e ci faceva osservare come la marea, già fin da allora e senza che il
canale fosse terminato, entrasse velocemente perché non aveva più la barriera
naturale delle curve del canalon Fisolo e poi Melison, che dal porto degli
Alberoni portava su su fino alla terra ferma. Infatti, quando i pescherecci
entravano fino al faro degli Alberoni per arrivare a s.Lunardo dovevano girare
a destra, dopo il canale di Malamocco, quindi a sinistra per un bel pezzo e poi
a destra ancora per entrare nelle barene e per andare verso la terraferma. E a
Fusina non ci andavano perché non c’erano canali che potessero avere dei
fondali adatti al loro pescaggio. Quindi questo nuovo canale faceva “un
drissagno”, si dice in gergo, ossia tagliava tutta la barena in linea retta,
quindi a s.Lunardo girava a destra e ancora in linea retta andava verso Fusina.
Un vero e proprio sconvolgimento della Laguna!
E quella mattina mi ricordai
della sua profezia, vista la velocità con cui la marea cresceva. Rinunciai ad
andare in Ospedale e andai invece direttamente in negozio per vedere cosa
succedeva. L’acqua cominciava ad entrare.
Iniziai subito a mettere al
riparo dall’acqua le cose che erano vicino a terra sopra le sedie.
Ma l’acqua cresceva, le tolsi dalle
sedie e le misi sopra i tavoli.
Non avevo stivali, perché non mi
erano mai occorsi e di questo me ne pentii amaramente quel giorno.
Dapprima giravo per il locale
salendo sopra due sedie e usandole come una specie di trampoli, poi non
bastarono nemmeno quelle, e andai a mollo.
Intanto l’acqua saliva, ed io ero
solo. Non facevo in tempo a mettere al riparo una cosa, che subito dovevo
pensare ad un’altra, in cucina dovetti mettere sopra i tavoli tutto quello che
era messo o a terra o nelle parti basse. In sala tutte le sedie erano sopra i
tavoli, perché iniziavano a galleggiare.
I camerieri e i cuochi mi avevano
telefonato che non potevano venire a causa l’acqua alta, e quelli dalla
terraferma erano bloccati a Piazzale Roma con i vaporetti che non andavano.
Pertanto solo ero e solo rimasi!
E continuava a piovere!
Telefonai a mia mamma, che
abitava a Mestre, per tranquillizzarla: fu l’ultima telefonata, perché dopo i
telefoni ammutolirono in tutta la città.
E l’acqua continuava a salire! E
il vento umido e caldo di scirocco soffiava!
Sotto il bancone di mescita
c’erano le bottiglie di vino necessarie alla mescita: iniziò a galleggiare
anche quello con tutto il suo carico!
Spaccai i tubi di rame del motore
del frigorifero, perchè, pensai, era meglio far fare una saldatura che
comperare un motore nuovo, e lo misi sopra l’altro bancone. Questo non
galleggiava perché era fisso a terra.
In magazzino le damigiane di vino
si erano rovesciate, sempre a causa dell’acqua alta e le bottiglie – dopo che i
cartoni si erano sciolti nell’acqua – iniziavano anche loro a galleggiare. Non
mi rimase altro da fare che chiudere la porta perché non se ne andassero con la
marea quando avrebbe iniziato a scendere.
Dal di fuori giungevano voci
allarmanti: è crollata la diga di Càroman, Pellestrina è sommersa, il Lido è
sott’acqua, ecc. Intanto le pantegane dei magazzini dei vicini erano come
impazzite e nuotavano in tutte le direzioni! Anche con loro avevo il mio bel da
fare per tenerle lontane!
Verso le 11 mancò anche la luce!
E fu il buio per tre giorni!
E l’acqua continuava a salire, e
mi era giunta oramai al bacino.
Tornai in cucina per cercare di
sigillare le porte dei frighi con dei canovacci perché i cibi non
deteriorassero, quindi misi il pane che ci avevano fornito il giorno prima
sopra la rastrelliera che c’era sopra i fornelli della cucina. Anche lì l’acqua
aveva già sormontato le portelle dei forni!
Avevo un radio a batterie, e con
quella sentivo le notizie dal resto del mondo. Ma non parlavano altro che della
alluvione di Firenze e … dell’acqua alta eccezionale di Venezia!
Oramai, facendo memoria, il
livello del famoso novembre del 1951 era già stato superato da un pezzo. E
l’acqua saliva sempre: mi era giunta sulla cinta dei calzoni. Non sapevo più
cosa fare! E le notizie da fuori erano sempre più allarmanti! Qua, pensai,
faccio la morte del topo!
Due vecchiette che abitavano di
fronte al negozio erano stabili sul balcone, guardavano e pregavano
terrorizzate. Ogni tanto mi chiedevano cosa dovessero fare. “Pregare”,
rispondevo.
Finchè verso le due del
pomeriggio, visto che l’acqua saliva sempre, mi sono deciso ad abbandonare
tutto e andarmene a casa. Presi la radio, quattro o cinque salsicce che erano
appese sul soffitto, due o tre pani dalla cucina e me ne andai.
In campo della Fava l’acqua mi
arrivava alla schiena e vi camminavo immerso, con una mano tenevo alte le cose
che avevo e con l’altra allontanavo da me i detriti e le immondizie che
galleggiavano.
Dal ponte della Fava vidi un mare
di spiuma bianca di detersivo che seguiva la corrente: era il deposito di
detersivi di una ditta che aveva i magazzini lì accanto nella calle.
Giunto a casa, mi accorsi che il
gas non funzionava, così dovetti pranzare con le luganeghe crude!
A piano terra della mia
abitazione abitava una vecchietta. Aveva una sola stanza e un bagno. Era seduta
sopra la tavola che attendeva che l’acqua calasse! Piangeva guardando le sue
poche cosa che galleggiavano! Le ho detto di salire in casa mia, ma ha
rifiutato perché – ha detto – aveva paura che gli portassero via quel poco che
aveva. Nemmeno con la forza riuscii a smuoverla! Lo scirocco che incombeva era
sempre stagnante ma aveva smesso di piovere.
La radio, intanto, dava notizie
sempre più drammatiche: ma sempre di Firenze, poco di Venezia!
Dunque: luce non ce n’era,
telefono neanche, gas neppure, da mangiare neanche, la TV, se non c’era la
luce, non funzionava, ed io ero lì da solo, con mia moglie in Ospedale e al
balcone per vedere se l’acqua iniziava a scendere oppure se anch’io dovevo fare
la fine delle pantegane che nuotavano impazzite in giro per le calli!
Finalmente verso le 6 del pomeriggio
il tremendo vento di scirocco, “el cassador” come lo chiamiamo quando soffia
per far salire l’acqua, cessò.
Non c’era la luce, non c’era
telefono, non c’era gas: nemmeno in tempo di guerra eravamo messi così…e il
buio di novembre incombeva!
E l’acqua iniziò a scendere.
Prima piano, piano, poi sempre più velocemente, sempre più velocemente. In
poche ore Venezia si svuotò come quasi per incanto.
Tornai immediatamente in negozio
perché prevedevo che nello scendere l’acqua avrebbe portato davanti alle porte
d’ingresso tutto ciò che galleggiava e poi era difficile aprirle.
Al buio, con l’ausilio solo di
una torcia a batterie, inizia l’opera di recupero.
Mano a mano che l’acqua calava
con dei secchi lavavo e levavo il salso – o quello che potevo – dalle pareti,
dai banchi, dal loro interno, ecc.
Appena riuscii ad andare in
magazzino mi attrezzai meglio e misi in opera le due lampare a gaz che usavo
per andare a pesca, così potevo rischiarare un po’ i locali.
Finii alle 11 di sera di spazzare
tutto il fango che era entrato ed uscito con l’acqua!
Le calli erano un accumulo di
immondizie, c’era di tutto: perfino un barca di fronte alla porta di ingresso
dalla calle della bissa! Certe altre calli, dove qualcuno aveva il
riscaldamento a nafta, erano nere dal carburante che era uscito dai serbatoi. I
danni che avevo avuto sarebbero stati micidiali, se solo non mi fossi accorto
per tempo della nafta che galleggiava per la calle adiacente l’ingresso
secondario, perché tappai con tovaglie e asciugamani le fessure delle porte per
impedirne l’accesso. Me ne tornai a casa sfinito.
Non avevo notizie di mia moglie,
di mia mamma, di nessuno!
Solo la radio con le batterie
oramai mezze scariche.
Fuori era il buio più nero,
qualche raro lumino o qualche rara torcia elettrica si intravedevano per le
calli: erano dei disperati –come me – che o andavo a casa o andavano nei loro
negozi a fare gli inventari di una giornata di novembre che avrebbe dovuto
essere festiva.
Feci la stessa strada del
pomeriggio, e in campo scivolai sulla schiuma dei detersivi e facevo la gimcana
tra i cumuli di rifiuti, di immondizie, delle suppellettili che la gente
buttava fuori dalle case e che oramai erano inservibili. La mattina dopo, il
giorno 5, finalmente, potei andare all’Ospedale per trovare mia moglie, alla
quale dissi che era andato tutto bene e che non c’era stato nulla di
eccezionale! Solo che mi rispose che se non c’era stato nulla di eccezionale,
perché le cucine dell’Ospedale non funzionavano e perché era due giorni che
mangiava asciutto ed era al freddo… Cambiai discorso…
In negozio c’erano tutti che mi
aspettavano, ed iniziammo a fare le pulizie. Almeno l’acqua dolce c’era…
Niente luce, niente telefono, ma
il gas era tornato. Così iniziammo a scaldare qualche cosa, a farci un po’ di
caffè caldo prima e un po’ di cibo caldo, poi. Era dal giorno due che non
mettevo nulla di caldo nello stomaco!
La desolazione che c’era in tutta
Venezia è inenarrabile! Scene di disperazione da parte di negozianti che
avevano perso tutto, gente che abitava ai piani terra che giravano senza una
meta e chiedevano aiuto, chiedevano che almeno qualcuno li aiutasse a mettere
in calle i mobili, i materassi oramai distrutti.
C’era una rincorsa nei pochi
negozi di elettricità per accaparrarsi torce, pile, ecc. o anche candele nei
negozi che ne avevano.
Il prete della chiesa di S. Lio
vendeva le candele votive, divise a metà, a 500 lire il pezzo! Orrore che si
aggiungeva all’orrore!
Iniziammo a contare i danni in
negozio.
Le sedie che erano andate in
acqua erano da gettare, nel mentre i tavoli “tenevano”; il bancone che
galleggiava con le bottiglie fortunatamente non si era rovesciato perché lo
avevo legato alle colonne con delle tovaglie.
Le damigiane piene che si erano
rovesciate furono recuperate perché erano tappate bene e l’acqua stessa aveva
fatto da sigillo, le bottiglie erano tutte senza etichetta: certe sono state
recuperate ma molte altre sono state consumate da noi i giorni successivi
perché non si sapeva di cosa fossero…
I forni della cucina erano
inservibili perché vi era entrata l’acqua, però funzionavano i fornelli. I cibi
dei frigoriferi furono immediatamente parte cotti e parte gettati via.
Il pane che avevo acquistato in
previsione della festività era diventato la nostra salvezza e la salvezza di
altri vicini, che almeno potevano mangiare qualche cosa. E quindi iniziammo a
lavare tutto con le pompe di acqua dolce. Da fuori si sentivano i Pompieri che
percorrevano i canali per salvare qualche barca o aiutare le persone che ne avevano
bisogno. Ma la paura di una replica, in previsione delle acque dei fiumi che
sarebbero arrivate in mare, era enorme! Avevamo paura che il mare “non
ricevesse” e che tornasse il maledetto scirocco. Fortunatamente il vento girò
di bora e spazzò via l’acqua dalla Laguna e dal mare ed arrivarono delle
splendide giornate di sole. Venezia era salva. Noi eravamo salvi! E il mio
primo figlio nacque il giorno 11 novembre, quando oramai era tornata la luce e
i telefoni funzionavano! E mano a mano che sistemavamo qualche cosa contavamo i
danni e gettavamo in calle tutto quello danneggiato e oramai inutilizzabile.
Già il giorno 5 di sera tutte le
calli di Venezia erano piene di cose, di mobili, di stoffe, di sedie, ecc.ecc.
rimaste irreparabilmente irrecuperabili. Si passava per dei stretti sentieri in
mezzo a tutto quello che fino al giorno prima era materiale commerciale posto
in vendita.
Gli spazzini erano indaffarati a
recuperare le tavole e i cavalletti che dovevano servire come passerelle per
l’acqua alta… ma la maggior parte di esse erano oramai andate fuori in mare con
l’acqua di dozana.
Tutte le persone che abitavano ai
piano terra erano nella più nera disperazione perché avevano perso tutto, così
pure i commercianti i quali si erano trovati all’improvviso con i negozi
completamente vuoti e impraticabili perché tutto sommerso dall’acqua.
Ci misero una settimana per
ripulire le calli e i campi principali, e poi iniziarono a pulire anche le
calli e i campielli laterali e nascosti.
La luce venne data solo dopo tre
o quattro giorni, perché i trasformatori erano andati tutti danneggiati e
dovevano attenderli da fuori città per sostituirli.
E intanto il prete di S. Lio era
rimasto senza candele votive, perché la aveva vendute tutte a 500 lire per
mezza candela…!!! Per illuminare il mio negozio mi salvai accendendo le due
lampare a gas liquido che solitamente usavo per andare a pesca. Oltre ad una
lampada a gas di fortuna che mi ero costruito con un tubo di gomma e un
cannello di rame che avevo tolto dalla serpentina del motore del frigo che
avevo rotto sollevandolo. Sapevo di correre un rischio, ma era necessario fare
di “necessità virtù”, come si suol dire.
Alcuni giorni dopo, finalmente,
tornò la luce e i netturbini, dopo aver fatto turni impressionanti di lavoro per
portar via tutte le cose che c’erano per la calli, riuscirono a pulire tutta
Venezia, e solo allora potè iniziare una disinfestazione su larga scala sia
nelle calli che nelle abitazioni a piano terra.
Ma in tutta Italia si parlava
solo di Firenze e dei danni alla cultura! Nessuno parlava dei danni di Venezia
e del Veneto. Basti solo pensare che a Bassano il Brenta era salito di due
metri sopra il ponte degli Alpini! E a Pordenone il Noncello aveva invaso il
centro storico e all’albergo Centrale era giunta al primo piano!
Nel Veneto avevamo avuto oltre
cento morti! In Toscana solo 17!
Tutto il Veneto era andato sotto
acqua, tutti i terreni, tutte le campagne erano state allagate. A S. Donà di
Piave c’era stato uno sterminio di bovini e di animali da cortile. Quei pochi
che si erano potuti salvare erano stati posti sopra una collina delle tenute di
Furlanis.
Tutti i fiumi del Veneto erano
straripati ed avevano esondato per le campagne. Vi furono milioni di miliardi
di danni!!! Ma all’Italia interessava solo Firenze! Il Veneto, come sempre, non
interessava a nessuno! Il Veneto era ed è solo terra da mungere, da
sfruttare!!! Una settimana dopo ci giunse una notizia ufficiale: la Mahatann
City Bank di New York aveva stanziato ben 600mila dollari (di quei tempi…) per
i primi soccorsi per Venezia. Però questi soldi arrivarono a Roma, e lì si
persero! Roma ci aveva rubato anche questi soccorsi!
Passata la sfuriata, e leccateci
le grandi ferite che il 4 novembre ci aveva lasciato, ci ritrovammo in un
gruppo di commercianti, di appassionati veneziani, di amanti di Venezia, ecc. e
ci costituimmo nel “Fronte per la difesa di Venezia”, ed iniziammo la nostra
battaglia politica. In seguito venne con noi anche Indro Montanelli… Ma quella
è altra storia.
Gigio Zanon
Luigi Zanon “Gigio” morto
nel 2015 all’età di 74 anni era stato titolare del famoso ristorante veneziano
"Aquila Negra". Era uno studioso delle tradizioni veneziane. Un
appassionato difensore della venezianità e della sua storia. Scriveva, stampava
libri, opuscoli e volantini, sempre dedicati alla sua città. Un grande
veneziano, sempre in prima fila nel difendere la sua città.
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