lunedì 27 settembre 2021






 Discorso introduttivo del prof. GIORGIO ATHANASIADIS - NOVAS agli atti del convegno internazionale "Il Mediterraneo nella seconda metà del '500 alla luce di Lepanto" (Fondazione G. Cini, Venezia, 8-10 ottobre 1971, in occasione dei 400 anni dalla battaglia).

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Lepanto è stata l'ultima - la tredicesima - delle Crociate. La sola che si sia svolta interamente in mare, la sola senza fini di conquista, la sola che abbia conservato intatta la santità della difesa, l'ultima che come insegna non ebbe colori nazionali o emblemi reali, ma il vessillo di Cristo in croce, l'ultima che si sia servita solamente della forza motrice dei remi.

L'ammiraglio francese Jurien de la Gravière scrive: "La sorte del mondo per tre volte è dipesa dall'esito di un enorme scontro navale: Salamina, Azio, Lepanto". Queste battaglie navali hanno in comune un elemento, e cioè che sono state combattute in acque greche.

Vengo da Lepanto, dove sono nato. Fin dai miei primi anni di scuola mi ha impressionato la gigantesca battaglia navale del 1571. Sentivo, con una certa dose di fantasia, nel mormorio di quel mare quasi il piacevole racconto di una mitica fiaba, quasi il monito rinnovantesi continuamente di una straordinaria prodezza, capace di suscitare sempre brividi e provocare ammirazione. Da quello stesso mormorio di Lepanto e delle Echinadi vi porto, signori, un ampio saluto di onore e di amabilità. Il simbolico saldo di un grande debito a nome di quei luoghi storici verso di voi, che tanto vi prodigate, nelle ricerche e negli studi, per conservare ed eternare il ricordo del grande evento che li ha illustrati...

Battaglia navale di Lepanto. È stata consacrata da secoli con questo titolo, mentre nella realtà ha avuto luogo, come si sa, a circa 36,6 miglia ad occidente di Lepanto, all'ingresso del golfo di Patrasso, vicino al gruppo delle isole chiamate Echinadi in greco, Curzolari in veneziano.

La denominazione di Lepanto non è dovuta ad errore della storia né tanto meno alla sua benevolenza per Lepanto. In quell'epoca tutta la regione occidentale della Grecia continentale, e anche tutto il golfo di Corinto, veniva denominata Lepanto. Naupatto, antichissima città fortificata, nota già sin dalla discesa dei Dori, capitale dell'antica Etolia, sede, in seguito, del governatore romano, bizantino, veneziano e turco. A parte questo però, quando all'alba del 3 ottobre del 1571 la flotta cristiana, abbandonata Igumenizza, navigava verso Cefalonia e si trovava all'altezza di Paxò, una fregata inviata dal governatore di Zacinto, portava al Comandante della flotta, Don Juan, l'informazione fornita dal cavaliere inviato in osservazione Gilles d'Andrade (ammiraglio, l'anno seguente, della flotta di Napoli) che la flotta turca, proveniente dal l'Adriatico e dallo Ionio, aveva approdato per riposo, riparazioni, rifornimenti a Lepanto. Da quel momento, automaticamente, Lepanto divenne il bersaglio della spedizione cristiana. Possiamo fondatamente supporre che la notizia sia stata comunicata all'occidente prima della battaglia navale; perciò era da Lepanto che si aspettava con ansia la notizia del risultato. Ma anche dopo la vittoria, la cui grandezza superava ogni aspettativa e oscurava ogni altro particolare, era naturale che Giustiniani a Venezia (dopo 10 giorni), il conte de Proego, Pompeo Colonna e il cavaliere de Romegas al Papa, don Lopez de Figueroa a Filippo II di Spagna (dopo un mese) annunziassero la grande notizia come "Vittoria di Lepanto". Così, la chiesa nelle sue dossologie, il popolo nelle sue acclamazioni, i poeti nei loro inni, i pittori e gli scultori nelle loro opere, i soldati nei loro racconti, gli storici nelle loro opere, sin dal primo momento consacrarono l'epopea del 1571 con il nome di Lepanto.

Sarebbe un'ingiustizia dimenticare le Echinadi. Il queste isole è menzionato anche dagli antichi scrittori greci (Erodoto, Euripide, Strabone). La mitologia ci dice che erano dapprima ninfe spensierate del mare. Commisero un'empietà e il potente dio del fiume Acheloo, il quale era adirato perché Ercole gli aveva rubato la fidanzata, la reginetta dell'Etolia Deianira, le trasformò in isole.
E per di più in isole rocciose, deserte, improduttive... Da allora Acheloo, "fiume che regna su tutti", scrive Omero, univa alla terraferma molte isole. Oggi se ne trovano nel mare circa 20.
Devono evidentemente il loro nome greco alle spiagge, come spinose, e piene di ricci. Il nome veneziano Curzolari lo avrebbero aggiunto certi pirati della Dalmazia, dove esiste un'isola di nome Curzola.

Avevano ragione coloro che dissero che, essendo il Papa Pio V riuscito a unire la Spagna con Venezia, era come se avesse riunito l'acqua con il fuoco.

Domandi pure il Daru «Chi crederebbe che una così splendida vittoria fosse destinata a rimanere senza risultati »? Osservi pure Hammer (Joseph von Hammer Purgstall, 1774-1856): «Non si può non pensare, senza un sentimento profondo di tristezza, alla nullità dei risultati di questa battaglia navale ». Scriva pure Rambaud (Alfred-Nicolas Rambaud, 1842-1905) che «i festeggiamenti e le statue sono stati gli unici risultati di quella grande vittoria».  Montaigne però (Michel Montaigne, 1533-1592) contemporaneo, aveva giudicato diversamente: «Questa battaglia navale segna l'inizio della caduta graduale e inevitabile dell'Impero Ottomano».
E l'insuperabile storico francese della battaglia navale, l'ammiraglio Jurien de la Gravière, è d'accordo con lui. Giudica così nella sua introduzione: « I turchi dopo questa grande catastrofe non si ripresero mai più. La battaglia navale di Lepanto tolse loro per sempre il dominio del mare » ... Scrive l'abate Brandôme che il mancato sfruttamento della vittoria fu una grande vergogna. Ma scrive anche il vescovo di Dax, allora ambasciatore di Francia a Costantinopoli: Fu forse un'azione di prudenza il contenersi dei vincitori in quel momento. Ed è strano come mai non abbiano deciso di occupare Lepanto che era vicina al campo di battaglia, sebbene ne fosse stato ucciso il governatore e la guarnigione fosse scomparsa durante la battaglia navale ».

Sono greco e di Lepanto. Ed ancora solo la Grecia, e particolarmente la regione vicina a Lepanto subì le tragiche conseguenze della battaglia navale in forma di violente rappresaglie contro i cristiani locali. Intanto vorrei vedere intatta e senza ombra l'aureola della vittoria e mi accontento della giusta frase di Braudel: "è stata la fine di un vero complesso d'inferiorità del mondo cristiano nei confronti dei turchi".

La musa popolare greca (che ha dato veri e propri capolavori di grande valore poetico tanto che Fauriel, Passov, Tommaseo, Pavolini e altri li considerano superiori a tutte le poesie popolari e il Goethe se ne è mostrato particolarmente entusiasta), non poteva non essere ispirata dal grande avvenimento. Un distico, che i navigatori greci cantarono sin dai primi momenti della formazione della flotta della Santa Lega diceva:

«Vorrei essere un faro d'oro nello stretto di Messina per far luce quando passerà il principe di Spagna».

È stata conservata però anche una poesia più lunga che cantavano i navigatori di Parga nell'Epiro:

La Battaglia Navale e lo Schiavo (Parga 1574)

"Vorrei essere un uccello, un dolce usignolo, vorrei essere una rondine
vorrei essere un fanale d'oro nel faro di Messina
per vedere, per vedere da lontano il re che viene con la nave
dove navigano con gioia e remano cantando.
Non vanno per entrare in porto, né per gettar l'ancora,
cercano Aly Pascià per combatterlo.

Quando si incontrarono le due grosse armate
il cannone tuona, il giorno si fa notte
prua con prua s'incontra, albero con albero
Piedi, mani e corpi riempiono le navi
Fù ucciso Aly Pascià, il degno prode
e il Re la sua galera tirava dalla poppa
Dentro aveva cento schiavi incatenati
e lo schiavo sospirò e si fermò la nave
e il Re si spaventò e chiamò il suo primo ufficiale
- "Colui che sospirò e si fermò la nave
se è tra i miei servi, aumenterò il suo stipendio
se è tra i miei schiavi, lo libererò".
- "Io sono colui che sospirò e la nave si fermò perché ho fatto un sogno brutto là dove dormivo
Ho visto che mia moglie la facevano sposare con un altro.
Fresco sposo di quattro giorni i turchi mi fecero schiavo
e dieci anni ho fatto nella terra di Barbaria..."

È interessante osservare in questo canto che il popolo greco, anche se in quell'epoca schiavo, con sentimenti limitati dalla necessità, si è mostrato superiore davanti al dramma del Primo Ammiraglio turco riconoscendo onorevolmente il suo valore e il suo eroismo, quasi piangendo per la sua sorte: « fu ucciso Aly Pascià, il degno prode ». (Muezizandé Alì)  In una rivista greca del secolo scorso («Pandora», vol. 14°, 1863-1864) appare il canto seguente:

"Un po' lontano da Cefalonia, di fronte a Santa Maura
là si sono incontrate le due grosse armate grosse e terribili del turco e del franco.
Petto a petto si battono e testa a testa.
Non ti temo, Aly Pascià, non ti considero neanche, ho navi di bronzo e alberi di ferro."

Questo canto dà, come avete sentito, in poche semplici parole, una descrizione impressionante della dura e violenta lotta nella sua fase più aspra e poi aggiunge, presi in prestito da altre canzoni popolari, molti versi che descrivono a forti tinte la tragedia dei rematori schiavi, a dimostrazione di quanto profonda mente soffrissero allora gli animi in quel tremendo martirio che era la schiavitù.

Penso infine che, anche nei confronti di quei martiri sconosciuti e molto tormentati, che nella battaglia navale di Lepanto raggiunsero il culmine del loro martirio, dei rematori delle due flotte, il ricordo storico non debba essere avaro. Incatenati, con bocca tappata, con la frusta dell'aguzzino spesso calata sulle loro spalle nude, tendevano le loro forze fino all'estremo, sacri ficando la loro vita priva di gioia senza l'onore del combattente armato, senza l'attesa di una gloria personale. Le grida più strazianti del dolore umano, la cui eco resta inestinguibile negli antri più oscuri della storia, sono quelle dei rematori della battaglia navale che bruciavano o affondavano con esse e urlavano disperatamente senza che potessero spezzare le loro catene e salvarsi...

Uno degli effetti particolari e più commoventi della battaglia navale fu la liberazione, secondo alcuni di 10.000, 
secondo altri di 15.000 prigionieri greci rematori.

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